Mostra permanente della "Necropoli Italica"

Nel centro storico del paese di Pennapiedimonte, piccolo borgo dell'entroterra chietino alle falde della Maiella orientale, l'edificio antico della torre è stato restaurato per accogliere una piccola mostra archeologica, inaugurata l'11 maggio 2003, che espone i risultati dello scavo avvenuto in località Cavata*, poco a valle del centro abitato. Qui, nel 1982, durante i lavori intrapresi dal comune per la realizzazione del campo sportivo (campo da Tennis, N.d.R.), venne alla luce un sito archeologico che conservava importanti testimonianze del popolamento antico dell'area. Una breve campagna di scavo della Soprintendenza Archeologica dell'Abruzzo, diretta da Sandra Gatti, su finanziamento della Comunità Montana Maielletta e con la collaborazione del Comune, esplorò allora un'area di appena 230 mq., ubicata su uno scosceso pendio collinare che mostrava le tracce di una occupazione stratificata nei secoli e diversificata nelle finalità. Infatti, utilizzato forse in età romana a fini agricoli, il sito aveva ospitato in precedenza, tra la fine del VI e il III secolo a.c. una necropoli a sua volta impiantata sui resti di un insediamento frequentato dal neolitico all'età del bronzo.

* si riporta erroneamente in illustrazioni varie non editi dal Comune la località Cavata, mentre lo scavo avvenne in località Fontana  (N.d.R.)

Un campione della necropoli, la più importante finora scavata della popolazione italica dei Carricini, venne inserito, subito dopo la scoperta, nella sezione "I culti funerari nell'Abruzzo preromano" del Museo Archeologico di Chieti; oggi, a Pennapiedimonte, il giacimento di Cavata viene integralmente esposto per la prima volta nella sua complessa e articolata "stratigrafia" in una mostra permanente che, però, auspicando la ripresa delle indagini nel sito, non completamente esplorato nel 1982, si presta a essere rinnovata con nuovi apporti di contenuti e materiali, in una sorta di "laboratorio" continuamente aggiornato. Su due piani, e con l'ausilio di pannelli illustrativi, l'allestimento si snoda a partire dai ritrovamenti più antichi, selezionati tra l'enorme mole di materiali frammentari provenienti dagli strati riferibili all'insediamento su pendio, cui sono riservate le prime tre vetrine dell'esposizione: dal V al II millennio a.c. l'articolazione cronologica dell'abitato è illustrata da vasi di ceramica d'impasto, talvolta decorata e con applicazioni plastiche, destinati a contenere alimenti e liquidi, da oggetti ornamentali e rituali, da suppellettili di uso quotidiano e da strumenti da lavoro come la macina in pietra per triturare i cereali e il frumento, il trapano ad archetto, i falcetti, le lame e raschiatoi in selce, le fuseruole in impasto. Questi oggetti, spesso frammentari ma resi più comprensibili nella loro funzione da ricostruzioni e disegni, scandiscono la vita dell'abitato, praticamente ininterrotta per più di tre millenni.


    

L'area tornò ad essere frequentata, dopo una cesura corrispondente alla prima metà del I millennio a.C., nella tarda età arcaica per scopi completamente diversi, non più insediativi ma funerari, testimoniando anche una mutata strategia di occupazione del territorio. Tra la fine del VI e il III secolo a.C. infatti il sito divenne sede di una necropoli, solo in parte indagata e compresa nella sua reale estensione, di cui sono state scavate 11 sepolture a inumazione, 9 a semplice fossa scavata nella terra, 2 con cassone di lastre di pietra, distribuite in due raggruppamenti vicini. I defunti, tutti adulti, erano deposti supini con vari orientamenti ma mai con la testa a ovest, accompagnati, secondo una consuetudine che in Abruzzo nasce forse già nel tardo neolitico, da corredi funerari modesti nel numero e nella qualità degli oggetti e caratterizzati in funzione del sesso: si tratta per lo più di fibule e di ornamenti personali in bronzo, ferro, pasta vitrea e ambra, più abbondanti nelle tombe femminili, di armi da getto in ferro tipiche del costume maschile, di vasi in argilla comuni a entrambi i sessi.

   

Colpisce la presenza di ben 3 cinturoni in lamina di bronzo (su 5 tombe maschili), databili tra IV e III secolo a.C., di provenienza meridionale. Considerato quasi emblema del maschio sannita, più che legato alla sfera militare, essendo privo di una vera e propria funzione pratica, il cinturone era piuttosto un segno di distinzione sociale per élite che, probabilmente, ne facevano anche il simbolo di passaggio all'età adulta, la cui più nobile ed eroica occupazione era la pratica delle armi. Questi oggetti, insieme ai vasi a vernice nera, anch'essi di provenienza apula o campana, sono la testimonianza di contatti e traffici con l'Italia meridionale legati alla pastorizia, presumibilmente molto viva in antico in questo territorio; le importazioni tuttavia non mutano la forte impronta locale della necropoli, caratteristica di un territorio appartato, dalle modeste risorse, legato alle proprie antiche tradizioni. L'area funeraria di Pennapiedimonte trova riscontri per tipologia delle tombe e per composizione e materiali dei corredi nelle sepolture più tarde della vicina necropoli di Comino di Guardiagrele e in quelle distribuite lungo il corso del fiume Sangro (Barrea, Alfedena, Opi).


@ il testo e le immagini sopra descritte sono tratte dall'opuscolo "Pennapiedimonte: Mostra Permanente della Necropoli Italica", realizzato da SynapsiEdizioni, con il patrocinio del: Comune di Pennapiedimonte, Ministero dei Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Abruzzo, Provincia di Chieti, Comunità Montana della Majelletta, Archeoclub di Guardiagrele, BLS Banca Popolare di Lanciano e Sulmona, Cosmetal di Francavilla al Mare.
Quelle che seguono sono le immagini dell'antica Torre Romana adibita a Museo permanente,  e alcune foto dei reperti qui conservati

@ foto realizzate con il permesso del Ministero dei Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Abruzzo e del Comune di Pennapiedimonte